Domande frequenti
Le nostre risposte alle domande più comuni. E se hai ancora dubbi, basta chiedere!
Se utilizzo biomassa legnosa contribuisco alla deforestazione?
La deforestazione rappresenta una vera e propria sciagura soprattutto in alcune aree del mondo: Sud America, Sudest asiatico, Africa. In Europa ed in Nord America, invece, il taglio dei boschi è regolamentato e controllato. In Italia siamo addirittura in controtendenza: in 50 anni la superficie forestale è incrementata del 100%, anche a causa dell’abbandono delle zone montane, in cui purtroppo è cessata ogni attività economica. Dell’incremento legnoso che ogni anno i boschi italiani producono, sene sfrutta solo il 20%, mentre i nostri vicini austriaci riescono a raccogliere sino al 70% apportando nessun danno, ma solo benefici ai boschi così curati!
Da quali parti del mondo arriva il pellet?
La produzione di pellet italiana copre meno del 15% del fabbisogno interno; il resto del pellet di qualità viene importato da altri Paesi europei e dal Nord America.
Il pellet di scarsa qualità costa un po’ meno. Perché non utilizzarlo?
Un pellet di scarsa qualità ha un rendimento inferiore ad uno di qualità, quindi un sacchetto da 15 kg durerà molto meno, pressoché annullando il vantaggio economico. Inoltre, il pellet di scarsa qualità produce più cenere, rendendo sia lo svuotamento di routine, sia la manutenzione più gravosi.
Come fa la segatura a stare insieme senza l’utilizzo di collanti?
Durante la lavorazione del materiale, temperatura e pressione convenienti contribuiscono alla liberazione della lignina, una sostanza legante dall’alto potere calorifico, naturalmente presente nel legname. Tale sostanza è responsabile della forma e della compattezza del prodotto finale.
Il colore chiaro del pellet è indice di qualità?
Questa è la classica leggenda metropolitana: anche in questo caso l’abito non fa il monaco. Storicamente il pellet chiaro di abete austriaco fu il primo pellet ad arrivare in Italia; in più l’abete ha un tipo di legno che viene bruciato senza problemi (se pur con scarsi rendimenti) anche da stufe di cattiva. Va da sè che altri prodotti possono avere medesima qualità, se pur con colori più scuri. Basti pensare che il processo di pellettizzazione, per dare un buon prodotto, deve essere condotto ad alta pressione ad alta pressione, comportando elevate temperature che imbruniscono leggermente il pellet. Anche la materia prima fa ovviamente la sua parte: il rovere è più scuro del faggio ed il faggio più scuro dell’abete, ecc.
Bruciare il pellet inquina l’atmosfera?
Un pellet di qualità, che non abbia subito processi chimici per la sua produzione, ha un’origine totalmente biologica (al netto delle lavorazioni meccaniche e del trasporto). Non inquina e per il bilancio dell’anidride carbonica è quasi ininfluente: la CO2 prodotta oggi dalla combustione di una pianta è esattamente quella assorbita nel corso del suo ciclo vitale.
Che differenza c’è tra un tipo di pellet ed un altro?
Il pellet di conifere (abete, pino) bruciano più facilmente in stufe anche di scarsa qualità, ma consumano più velocemente. Il pellet di rovere è decisamente più scuro, brucia con maggior difficoltà, con durata sensibilmente maggiore. Il faggio può essere considerato un ottimo compromesso. Esistono poi svariate miscele che mediano le qualità dei vari tipi di legno.